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Sulle orme dei pinguini
La ripetitività del soggetto come riflesso caricaturale, ironico, sarcastico, erotico e anche metafisico della condizione umana. Quindi non sono tanto i pinguini l’assunto di tante opere che hanno come tema ricorrente questi simpatici uccelli, ma sono uomini, donne e bambini; è un’umanità in un certo senso antropomorfica quella che con pazienza e precisione da certosino Vincent Gregory allinea nelle sue opere. Niente comunque a che fare con l’antropomorfismo di stampo disneyano. Piuttosto una ripetitività, una quasi inesorabilità ritmica sempre diversa quanto inarrestabile
come, per fare un esempio musicale, il “Boléro” di Ravel. Guardiamole allora le bizzarre opere di quest’artista giramondo. Se ci si attarda sul coinvolgente “presi nel vortice” si è quasi presi da vertigine. Basta tuttavia spostare lo sguardo su “giro, giro tondo” o “bellezze al tramonto” per ritrovare equilibrio e dolce abbandono. Attingono invece alla attualità, anche drammatica, “alla ricerca di quale felicità?”, “cloni come robot” e “bloccati nel traffico”. Ne elenco solo alcuni. Personalmente mi divertono molto e a volte mi ”intrigano” i “pinguini sommeliers”, fitto di etichette di grandi marche di vini; la serie dedicata ai pinguini impiegati, positivi, nella giungla, in topless; quelli filosofici meditativi come “il fiume della vita”, “tra le correnti fredde” e altri ancora in cui traspare la predilezione dell’artista-pinguino per scrittori quali Kafka, Hesse, Garcia-Màrquez e per maestri del colore come Klee, Gaugin, Mirò e altri. Al di là di quel polare uccello, che non vola ma nuota come un pesce, nel quale l’artista riassume il mondo e l’umanità in generale, la sua si rivela una pittura chiara, liquida, vivacissima, un movimento brulicante di forme e colori molto diversi da opera a opera. L’occhio sovente si incanta e invita la mente a una minuziosa lettura dei particolari che nulla tolgono alla luminosa e contrastante “monumentalità” dell’insieme. Non si esagera affatto nel dire che è una specie di monumentalità la pinguinesca opera racchiusa in oltre duecento quadri.
Se ci si attarda sui lavori che hanno preceduto la sua quasi insana passione per gli esponenti dell’ordine animale degli Sfeniscoformi, anche chi ha poche chiavi per penetrare a fondo nel demanio dell’arte (come il vostro cronista) non può non tirare strani e magari azzardati paralleli con il mondo fantastico e bizzarro del grande pittore fiammingo Jeronimus Bosch. Benché totalmente diversa e coercitiva nella ripetizione del soggetto centrale, la sua pittura rivela qua e là una proliferante selva di ossessioni e simbologie erotico-sessuali (senza complessi e alla spiaggia in topless), mistiche (rosso di sera pinguino spera), esistenziali (alla meditazione). Molte delle sue opere le si può anche considerare lettere d’amore che i pinguini dovrebbero riuscire a portare lontano. Da quanto si intuisce e da quanto ho osservato, l’impatto con la gente è sempre maggiore e queste specie di lettere-pinguini varcano gli oceani. Uscendo dall’atelier, con la testa ancora giocosamente affollata di pinguini e di sentimenti in bilico fra il nostro mondo e quello degli animali, penso che deve pur esistere un compromesso fra la straordinaria longevità dei pappagalli e l’effimera esistenza delle farfalle, così come fra il riso della iena e la mestizia del bue, ma anche fra il nostro modo di vivere e quello (perché no?) dei pinguini. Sicuramente la risposta è celata negli affollati quadri e mi è sfuggita. Be’, è un’occasione per rifargli visita. Intanto, almeno un pinguino, giù in Patagonia o al Polo Sud, sono certo che continua a chiedersi se sia un uccello o un cameriere.
Eros Costantini, Giornalista e Opinionista, Lugano 1998